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Iperplasia Prostatica Benigna (IPB)

INTRODUZIONE 

Più della metà dei soggetti di più di 60 anni d’età soffrono di importanti disturbi ad urinare. L’iperplasia prostatica benigna, conosciuta anche come ipertrofia prostatica benigna (IPB) o adenoma prostatico, è la condizione patologica più frequentemente responsabile di tale sintomatologia. Pur essendo una condizione benigna e non tumorale, se non adeguatamente diagnosticata e trattata, può determinare un notevole abbassamento della qualità di vita del paziente. Le terapie chirurgiche mininvasive, che includono l’utilizzo di laser Holmio e Thullio, o, in casi selezionati, persino della chirurgia robotica, permettono di eliminare l’ostruzione provocata dalla proliferazione della ghiandola prostatica sull’uretra e di risolvere i disturbi di tutti quei pazienti che non beneficiano a sufficienza dei trattamenti farmacologici.

 

PATOGENESI E CAUSE

L’IPB consiste in un aumento del numero delle cellule della porzione centrale della prostata (zona transizionale), che si sviluppa attorno all’uretra prostatica, comprimendola e determinando un ostacolo al normale deflusso dell’urina.

L’incremento cellulare, e di conseguenza del volume dell’intera ghiandola, è causato da molteplici processi patogenetici. Fondamentale è il ruolo di testosterone (o più precisamente di-idro-testosterone) e degli estrogeni: uno squilibrio, che avviene fisiologicamente durante l’invecchiamento del maschio, nei livelli di tali ormoni va a stimolare la sintesi di fattori responsabili dell’accrescimento della prostata. Anche lo stato di infiammazione cronica (prostatite cronica) contribuisce al rimodellamento della ghiandola e all’aumento dimensionale dell’adenoma prostatico.

Sono diversi meccanismi attraverso cui tali modifiche possono determinare i disturbi avvertiti dal paziente: la sintomatologia in occasione dello svuotamento della vescica è causata sia un’ostruzione meccanica, data dalla compressione meccanica dell’uretra prostatica, sia da un incremento del tono muscolare di collo vescicale e capsula prostatica, che contrastano il normale deflusso dell’urina. I sintomi cosiddetti di riempimento, invece, sono dovuti alle conseguenze della persistente ostruzione urinaria, che può esitare in una iperattività del muscolo vescicale (detrusore).

 

EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

L’IPB è una patologia che si presenta progressivamente con maggior frequenza all’aumentare dell’età del paziente. Per dare un’idea di quanto sia rilevante tale problematica, basti pensare che nel 2010 la prevalenza dell’IPB nel Mondo era di oltre 210 milioni di uomini.

Prima dei 40 anni non è una condizione frequente, colpendo solo il 5-10% dei soggetti. L’incidenza aumenta del 10% per ogni decade dopo i 50 anni, per cui circa l’80% degli uomini di 70-80 anni sono interessati da tale condizione.

Inoltre, la prevalenza di tale condizione maschile è rilevata in costante aumento, in particolare per l’incremento dei fattori di rischio modificabili, tra cui si annoverano obesità, dislipidemia o ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo 2, patologie cardio-vascolari.

 

SEGNI E SINTOMI

Come precedentemente accennato, i disturbi alle basse vie urinarie (LUTS) possono essere divisi in sintomi di riempimento e sintomi di svuotamento, che spesso coesistono nello stesso paziente. È importante sottolineare che non necessariamente una sintomatologia intensa si associa ad una ghiandola prostatica notevolmente aumentata di volume, e viceversa.

- I sintomi di riempimento (anche detti di tipo irritativo) più comuni sono: pollachiuria (aumentata frequenza nell’urinare nell’arco della giornata), nicturia (aumentato bisogno di urinare durante la notte), l’urgenza urinaria (il paziente non riesce a rimandare la necessità di svuotare la vescica) e il bruciore ad urinare.

- I sintomi di svuotamento sono invece: esitazione (cioè la difficoltà ad iniziare la minzione, soprattutto al mattino), sforzo (anche detto “uso del torchio addominale”, ovvero dover spingere o sforzarsi (manovra di Valsalva) per avviare e mantenere la minzione in modo tale da svuotare completamente la vescica), indebolimento o intermittenza del flusso urinario, sensazione di svuotamento incompleto della vescica (come se al termine della minzione rimanesse in vescica una quota di urina residua), dribbling minzionale (la perdita di piccole quantità di urina a causa di uno scarso flusso urinario e di un flusso urinario debole).

 

In aggiunta a tali sintomi, che possono essere presenti anche nelle fasi iniziali della patologia, l’IPB, se non correttamente gestita, può condurre a numerose complicanze. Tra queste è necessario menzionare:

- Infezioni delle vie urinarie persistenti e recidivanti: l’incompleto svuotamento crea una stasi di urina, che diviene ambiente favorevole alla crescita batterica, provocando cistiti, prostatiti, orchiti, orchiepididimiti e talvolta persino pielonefriti (gravi infezioni dell’alta via escretrice e del rene).

- Formazione di calcoli vescicali: dovuti alla precipitazione, per via della stasi delle urine, di cristalli di sali normalmente contenuti al loro interno. La presenza di calcoli vescicali può determinare un peggioramento della sintomatologia del paziente o addirittura provocare un’ostruzione completa alla fuoriuscita dell’urina.

- Diverticoli vescicali: si tratta di estroflessioni della mucosa vescicale attraverso la rete di fibre muscolari, provocate da un costante incremento della pressione all’interno della vescica, che viene sfiancata e perde parte della sua capacità contrattile. In queste sacche l’urina ristagna, favorendo l’insorgenza delle complicanze sopra menzionate.

- Ritenzione urinaria acuta: incapacità improvvisa di urinare nonostante si percepisca uno stimolo impellente e non rimandabile. Si tratta di una situazione spesso inaspettata, che determina un dolore intenso al basso ventre, e che richiede nella maggioranza dei casi un accesso in Pronto Soccorso per procedere al posizionamento estemporaneo di un catetere vescicale.

- Ritenzione urinaria cronica: se la progressione dell’IPB è lenta, si può configurare un quadro di aumento progressivo del residuo vescicale con conseguente distensione della muscolatura della vescica. Negli stadi avanzati della patologia, questa perde la capacità di contrarsi sino a configurare il quadro di “uropatia ostruttiva”, talvolta condizionante anche una compromissione della funzionalità renale per via della stasi urinaria e dell’aumentata pressione all’interno di tutta la via escretrice.

 

DIAGNOSI

Per procedere ad un corretto percorso diagnostico, è essenziale procedere ad una visita urologica completa. Lo scopo principale della valutazione è di escludere che la sintomatologia del paziente sia da correlare non a patologia benigna (IPB), ma bensì ad un tumore alla prostata. Le due condizioni non sembrano essere correlate, nonostante possano entrambe esistere nello stesso paziente. Scendendo minimamente nei dettagli, l’IPB e il tumore prostatico si sviluppano in due porzioni differenti della ghiandola: il carcinoma prostatico nella zona più periferica della prostata, l’IPB nella zona centrale.

- Colloquio con l’urologo ed esplorazione rettale (ovvero la palpazione della prostata attraverso il retto) sono momenti fondamentali nella visita urologica del paziente affetto da IPB. Attraverso l’esplorazione rettale, lo specialista può riscontrare diversi parametri: ingrossamento e morfologia della ghiandola, temperatura e dolorabilità alla palpazione (escludendo o confermando l’eventuale sospetto di prostatiti), consistenza (valutando l’eventuale presenza di noduli o zone più dure del normale, possibili espressioni di tumore alla prostata). È giusto ricordare che tutti questi non sono parametri oggettivamente rilevabili, ma dipendono dall’abilità e dall’esperienza dell’urologo stesso.

- Diario minzionale e questionario IPSS: sono strumenti che consentono di guidare la comunicazione medico-paziente e di riportare in maniera oggettiva e standardizzata la sintomatologia del soggetto affetto da disturbi minzionali.

- Dosaggio del PSA: il dosaggio ematico del PSA, molecola prodotta nel nostro organismo quasi esclusivamente dalle cellule prostatiche, fornisce un dato di rilievo per poter valutare il rischio di tumore prostatico nel paziente, costituendo, quando elevato, un campanello d’allarme che non deve essere trascurato dallo specialista. Tuttavia, la presenza di un PSA elevato deve essere correlata alla storia clinica e agli altri elementi diagnostici, poiché non rappresenta un indice di sicura patologia tumorale: può essere alterato in caso di infezioni delle vie urinarie, di recente esplorazione rettale, esercizio fisico intenso o rapporti sessuali, o di prostate di ampie dimensioni.

- Ecografia addominale: eseguita per via sovrapubica (appoggiando cioè la sonda ecografica a livello del pube) o transrettale (con specifiche sonde che vengono introdotte nel retto del paziente), consente una valutazione della morfologia e delle dimensioni della ghiandola. L’ecografia permette inoltre, se eseguita a vescica piena (o “repleta”) di misurare lo spessore delle pareti vescicali, che aumenta in caso di ostruzione) o di riscontrare la presenza di complicanze causate dall’IPB come diverticoli o calcoli. Al termine dell’ecografia si può anche consentire al paziente di urinare e valutare successivamente il residuo post-minzionale, vale a dire la quantità di urina che ristagna in vescica al termine della minzione.

- Uroflussometria: è un’indagine di facile esecuzione e non invasiva che permette di valutare il flusso urinario del paziente e il volume di urina che viene vuotato nel corso della minzione.

- Esame urodinamico: è un insieme di esami più invasivi che consente di certificare se lo scarso flusso urinario sia dovuto all’ostruzione prostatica o ad una scarsa capacità della vescica di contrarsi.

 

TERAPIA MEDICA

La terapia farmacologica rappresenta, nella quasi totalità dei casi, il primo approccio terapeutico al paziente affetto da IPB.

- Fitoterapici

Costituiscono spesso il primo step di trattamento che viene proposto a quei pazienti che lamentano iniziali disturbi minzionali. In questa categoria di prodotti, la sostanza più comunemente rappresentata è costituita dagli estratti della Serenoa Repens, che agiscono diminuendo l’infiammazione e la congestione a livello prostatico. Tali fitoterapici possono essere utilizzati da soli, o associati alla terapia medica convenzionale, in particolare nei casi di pazienti con sintomatologia irritativa.

- Alfalitici (detti anche alfa-bloccanti o antagonisti degli alfa-recettori)

Agiscono mediante un rilassamento della muscolatura della capsula prostatica e del collo vescicale ed aumentano la portata del flusso urinario. Le molecole più utilizzate sono tamsulosina, silodosina, doxazosina, alfuzosina, terazosina. La presenza di eiaculazione retrograda (ovvero la mancata fuoriuscita di liquido seminale al momento dell’orgasmo) è un effetto avverso, seppur reversibile alla sospensione del farmaco, lamentato dalla quasi totalità dei pazienti.

- Inibitori della 5-alfa-reduttasi

Sono consigliati soprattutto nei pazienti con prostate particolarmente voluminose e contribuiscono, agendo sulla forma attiva del testosterone (il di-idro-testosterone), a diminuire le dimensioni dell’adenoma (in alcuni casi anche del 30-50%). Di questa classe di farmaci fanno parte finasteride e dutasteride, che possono essere usate da sole, o in associazione agli alfalitici. Effetto collaterale molto comune è un calo della libido, con conseguente disfunzione erettile (reversibile con la sospensione della terapia).

- Antimuscarinici

Sono raccomandati soprattutto nei pazienti che lamentano sintomatologia irritativa, poiché vanno a ridurre la contrattilità vescicale. Esempi sono ossibutinina, solifenacina, fesoterodina. Effetti collaterali possono essere secchezza delle fauci, stitichezza, cefalea e ritenzioni di urina acute o croniche.

- Inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5Is)

Sono farmaci più comunemente usati nel trattamento della disfunzione erettile, come nel caso del tadalafil. È stato dimostrato, tuttavia, che possiedono un’efficacia anche nel ridurre il tono muscolare a livello di prostata, uretra e collo vescicale, aumentando il flusso urinario. Sono pertanto particolarmente indicati nei pazienti che abbinano deficit erettile ad iniziale IPB.

 

TERAPIA CHIRURGICA

Le terapie chirurgiche in pazienti affetti da IPB si pongono l’obiettivo di disostruire il paziente, riducendo o eliminando completamente la componente centrale della prostata (l’adenoma); la porzione periferica della ghiandola è invece lasciata in sede (per questo motivo il paziente sottoposto ad intervento disostruttivo per IPB ha ancora la possibilità di sviluppare il tumore di prostata). Tale risultato può essere ottenuto utilizzando una moltitudine di strumenti o tecniche chirurgiche, che possono essere divise in resettive (quelle che prevedono la scomposizione in piccoli pezzi della porzione transizionale della prostata) ed enucleative (che consistono nello scollamento dell’adenoma nella sua interezza e nella successiva triturazione, o “morcellazione”, per poterlo rimuovere dall’organismo del paziente).

 

- TURP (resezione endoscopica della prostata con energia monopolare o bipolare)

Si tratta dell’intervento storicamente più eseguito, in quanto caratterizzato da ridotta invasività e ottimi miglioramenti in termini di sintomi e flusso urinario. Si accede alla prostata per via endoscopica transuretrale, cioè passando dal pene senza eseguire tagli né buchi: quando si giunge in corrispondenza della ghiandola prostatica, il resettore permette di staccare poco alla volta piccole porzioni di adenoma prostatico. I frustoli di prostata sono agevolmente rimossi ed inviati ad esame istologico definitivo. È particolarmente consigliata in caso di prostate tra i 30 gli 80 g, ma, per via della tipologia di strumento utilizzato (con ridotte capacità di coagulare i tessuti), può essere complicata da importanti sanguinamenti post-operatori.

 

- ThuVAP (vaporizzazione di adenoma prostatico mediante laser al Thullio)

È una variante più moderna della classica TURP, da cui si differenzia per l’utilizzo del laser al Thullio al posto del resettore mono o bipolare. Per mezzo del laser si procede alla vaporizzazione dell’adenoma prostatico. Si tratta di una tecnica estremamente efficace, indicata in particolare per i pazienti in terapia antiaggregante o anticoagulante, per il ridotto rischio di sanguinamenti post-procedurali. Di contro, il tessuto vaporizzato durante la procedura è letteralmente “distrutto” e non può essere inviato ad esame istologico definitivo, per cui è necessario escludere con certezza la possibile presenza di tumore prostatico prima di proporre questa tipologia di intervento. La vaporizzazione viene consigliata in caso di prostate non particolarmente voluminose, in genere inferiori agli 80 g.

 

- ThuLEP o HoLEP (enucleazione di adenoma prostatico mediante laser al Thullio o all’Holmio)

A differenza della ThuVAP, non si procede a vaporizzare l’adenoma prostatico, bensì si “scolla” per via endoscopica (la cosiddetta enucleazione), si posiziona in vescica e in tale sede si “tritura” (morcellazione) per poter estrarre il tessuto ed inviarlo ad esame istologico definitivo. L’enucleazione è particolarmente indicata per prostate di medio-grandi dimensioni (in genere superiori agli 80 g). Si tratta di interventi che, seppur mininvasivi, per ottenere risultati soddisfacenti e a lungo termine per il paziente, devono essere eseguiti da specialisti adeguatamente formati e in strutture che abbiano a disposizione lo strumentario adeguato.

 

La chirurgia con il laser al Thullio (che si tratti di ThuVAP o ThuLEP) presenta molti vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali: degenza ridotta (oltre il 50%), minori sanguinamenti con conseguente diminuzione del rischio di trasfusioni, possibilità di operare pazienti scoagulati o antiaggregati, sintomatologia post–operatoria ridotta con conseguente riduzione dei giorni di posizionamento di catetere vescicale (a seguito dell’intervento) e della sintomatologia irritativa successiva alla procedura, maggior conservazione delle normali capacità erettili e di eiaculazione rispetto alle tecniche tradizionali.

 

- Green laser

È una tipologia di energia con cui si può procedere sia a vaporizzazione che ad enucleazione dell’adenoma. In mani esperte risulta molto efficace per disostruire il paziente, ma è gravata da un rischio elevato di persistenza di sintomi urinari irritativi anche per diversi mesi a seguito dell’intervento.

 

- Adenomectomia

L’adenomectomia (o prostatectomia semplice, per traduzione letterale del nome anglosassone “simple prostatectomy”) è una tipologia di intervento non endoscopico, che si riserva per prostate particolarmente voluminose, laddove l’enucleazione endoscopica (ThuLEP o HoLEP) non possa essere proposta al paziente. Tradizionalmente veniva eseguita a cielo aperto, incidendo la cute sopra il pube e asportando l’adenoma prostatico per via transvescicale (con incisione della vescica) o attraverso la capsula prostatica (tecnica di Millin), dopo averlo scollato con il dito.

Per via dell’alto numero di complicanze conseguente a questa tecnica a cielo aperto (il 20-25% dei pazienti necessita di trasfusioni nel post-operatorio a causa dell’elevato rischio di sanguinamento), negli ultimi anni è stata introdotta la prostatectomia semplice robot assistita (o adenomectomia robotica). Anche in questo caso si asporta solamente la porzione “centrale” della ghiandola prostatica e si lascia in sede la parte più periferica, anatomicamente adesa alle strutture vascolari e nervose responsabili dei meccanismi di continenza urinaria ed erezione. Oltre a garantire gesti chirurgici estremamente precisi grazie ai micro-movimenti degli strumenti e alla visione tridimensionale, con l’approccio robotico si è in grado di coagulare in maniera adeguata i tessuti e di ridurre in maniera drastica il rischio di sanguinamenti, di complicanze e di degenza post-operatoria.