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Prostata: il Psa, da solo, non basta

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Un valore alto dell’antigene prostatico specifico deve essere valutato alla luce di altri fattori, prima di decidere se e come intervenire http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/articoli/2008/04_Aprile/08/nice_psa.shtml Il National Institute for Clinical Exellence (Nice) britannico, l’ente che decide che cosa deve essere finanziato dallo stato in campo sanitario in base ai dati scientifici disponibili, ha appena reso note le nuove Linee Guida per la diagnosi e il trattamento del carcinoma della prostata. Le autorità inglesi hanno sottolineato, in particolare, l’importanza del consenso informato da parte del malato prima di assumere qualunque decisione. Tutti gli uomini con un tumore della prostata, o chi se ne prende cura, dovrebbero essere informati degli effetti della malattia e delle terapie sulle funzioni sessuali, urinarie, sull’aspetto fisico e altri aspetti della loro mascolinità. Ma anche dopo i trattamenti, i pazienti e i loro cari devono essere messi in rapido contatto con servizi di consulenza specialistica per affrontare eventuali problemi di erezione o di continenza e migliorare, così, la qualità di vita. INTERVENIRE O VIGILARE – Prima di suggerire o meno una biopsia prostatica, in presenza di valori critici di Psa (l’antigene prostatico specifico che si misura con un esame del sangue), il medico dovrebbe discutere con il paziente del significato dei risultati del test, di quello dell’esame rettale, delle eventuali patologie concomitanti e dei fattori di rischio individuali. Contro la malattia, poi, l’ente britannico promuove un approccio soft, che predilige l’osservazione clinica in tutti i casi in cui il sospetto di tumore non sia più che fondato o quelli in cui la sua aggressività consenta di vigilare senza intervenire. LIVELLI DI RISCHIO - In particolare, in caso il tumore sia confinato alla sola ghiandola prostatica, sono consigliati approcci diversi a seconda del rischio individuale. In caso di una neoplasia ritenuta a basso rischio, la prima scelta è quella della sorveglianza attiva, e cioè del dosaggio periodico del Psa e dell’esecuzione di biopsie ripetute con regolarità. Si devono poi considerare l’andamento del Psa nel tempo e le condizioni generali del paziente, perché una piccola percentuale di persone può passare, anche piuttosto in fretta, ad un rischio più elevato: in quel caso è necessario ricorrere subito all’intervento. Per un rischio intermedio, a seconda delle situazioni, vanno considerati un intervento radicale, una radioterapia o una sorveglianza, mentre, in caso di alto rischio, l’osservazione non basta: è indispensabile consigliare la prostatectomia radicale o la radioterapia. «IL PSA HA CAMBIATO RUOLO» - Tale impostazione, come riferito anche dal British Medical Journal, che ha pubblicato una sintesi delle indicazioni, nasce dal fatto che la discussione su alcuni temi fondamentali, primo tra tutti il reale significato del dosaggio del Psa, è tutt’altro che conclusa. Impossibile, dunque, emanare direttive rigide, soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento da tenere in caso di valori di Psa considerati anomali, cioè – secondo la posizione più diffusa – superiori ai 4 nanogrammi per millilitro di sangue. Bernardo Rocco, del reparto di urologia dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, così sintetizza l’opinione prevalente oggi tra gli urologi: «Il Psa, nel corso degli ultimi anni, ha cambiato faccia. In fase di diagnosi, infatti, non si guarda più solo il valore assoluto (sul quale non ci più troppe sono certezze), ma anche e soprattutto se e come esso si modifica nel tempo, e se una sua anomalia sia o meno affiancata da altri riscontri, per esempio all’esame rettale. Resta invece di assoluta centralità il suo significato nel follow up delle persone che sono state operate: in quel caso l’andamento del Psa nel tempo è ancora un’arma insostituibile per tenere sotto controllo la situazione e cogliere in tempo eventuali segni di ripresa di malattia». SCREENING SU MISURA - Molte linee guida internazionali (comprese quelle dell’American Cancer Society) e molte associazioni che si occupano di prevenzione, anche in Italia, consigliano di effettuare il dosaggio una volta all’anno dopo i 50 anni. Al contrario, tutte le principali organizzazioni sanitarie pubbliche scelgono di non finanziare campagne di screening di popolazione proprio a causa della mancanza di prove del fatto che esse incidano sulla sopravvivenza. Spiega in proposito Rocco: «Non è ancora stato accertato se la mortalità causata dal tumore sia stata modificata dall’introduzione del Psa e, poiché restano ancora oggi molti punti da chiarire, è comprensibile che enti pubblici come il Nice non investano in campagne di screening di vaste proporzioni. Tuttavia, è altrettanto corretto che la comunità scientifica solleciti gli uomini a effettuare il test e l’esame rettale dopo una certa età, per cogliere l’eventuale tumore nelle fasi iniziali e decidere, insieme, che cosa fare. E solo dopo un’attenta spiegazione delle possibili conseguenze di ogni decisione insieme allo specialista, il singolo deciderà come comportarsi, per esempio sottoponendosi o meno a una biopsia». QUALITA’ DI VITA - In caso di malattia accertata, come detto, la prima opzione è sempre quella chirurgica. Con alcune novità, come sottolinea l’urologo: «L’asportazione radicale della prostata influisce sulla qualità della vita perché porta, in molti casi, a impotenza sessuale e a incontinenza urinaria. Oggi però – conclude Rocco - l’evoluzione delle diverse tecniche chirurgiche sta limitando sempre di più il numero di persone che hanno questo tipo di conseguenze». Ma è fondamentale rivolgersi a centri con un’alta esperienza in questo tipo di interventi. Agnese Codignola 08 aprile 2008