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Quando mi hanno consegnato l’esame istologico, l’unica cosa che sapevo era che avevo un tumore alla prostata e che doveva essere operato. Nient’altro. Sarei stato sottoposto ad un’operazione tradizionale, con tutte le conseguenze del caso, che io avevo accettato perché non sapevo di avere un’alternativa.

Ho degli amici in California. Ci parliamo spesso, via Skype. Ed è così che una sera gli ho raccontato di quello che mi stava succedendo. Mi sono confidato con loro, detto che sarei stato sottoposto ad un’operazione sei mesi dopo. E sono stati loro a dirmi quel che ignoravo: non dovevo aspettare sei mesi. Non dovevo sottopormi ad un’operazione tradizionale. Fu allora che sentii per la prima l’espressione “chirurgia robotica”. In California tutti usavano il robot per quel tipo di operazione: perché non avrei dovuto usarlo anch’io?

Andai su internet e cercai se in Italia ci fosse stato qualcuno che praticasse la prostatectomia robotica. E così trovai il professor Bernardo Rocco. Lo contattai e fu lui ad operarmi a luglio del 2008: non ho dovuto aspettare sei mesi.

Sei ore di operazione dalla quale io sono uscito benissimo. Cinque giorni dopo ero già a casa e, di lì a due giorni, non avevo più neanche il catetere. Non ho avuto problemi di incontinenza in seguito all’operazione. Sono stato subito bene. Così bene che appena due settimane dopo l’operazione sono potuto andare a Roma, in viaggio: lì c’erano ad  aspettarmi i miei amici californiani.

Mauro Brezzi