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Anomalia del giunto Pielo-Ureterale

INTRODUZIONE

Un restringimento (cosiddetto “stenosi”) a livello del giunto pielo-ureterale, punto di connessione tra pelvi renale (o bacinetto) e uretere, impedisce il normale deflusso dell’urina, che si accumula, provocando una dilatazione delle cavità escretrici a monte. Tale dilatazione, se non adeguatamente riscontrata, studiata e trattata per tempo, può determinare una progressiva sofferenza a carico del parenchima renale, portando persino ad una definitiva perdita della sua funzionalità. La terapia chirurgica mininvasiva, in particolare quella laparoscopica robot-assistita, laddove indicata, permette la correzione del difetto e la preservazione della funzionalità renale del paziente.

 

PATOGENESI E CAUSE

Il rene costituisce uno dei più importanti meccanismi di filtrazione del nostro organismo e tale attività viene garantita dal corretto funzionamento del parenchima renale. Laddove vi sia un’ostruzione a carico della via escretrice, il ristagno di urina determina una dilatazione della pelvi e dei calici renali (“calico-pielectasia”), aumentando la pressione all’interno delle cavità renali ed esitando in una costante compressione del parenchima, sino a danneggiarne la funzionalità. È proprio attraverso questo meccanismo che si crea il danno indotto dalla sindrome del giunto pielo-ureterale, caratterizzata dalla presenza di un restringimento (o “stenosi”) a carico del punto di passaggio tra pelvi e uretere.

La stenosi del giunto pielo-ureterale è una patologia rara e può essere di tipo congenito (il soggetto verosimilmente è nato con tale restringimento) o acquisito (qualora venga sviluppata, per una serie di motivi, in età adulta).

Sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di una condizione congenita, la patologia spesso si manifesta tardivamente. È difficile, pertanto, tra le forme a manifestazione tardiva, comprendere quali siano le forme veramente acquisite e quali quelle congenite diagnosticate tardivamente.

In ogni caso, le cause dell’ostruzione possono essere intrinseche o estrinseche.

Nel primo caso, si tratta di una vera e propria malformazione del giunto pielo-ureterale, che presenta un calibro ridotto. Nel secondo caso, al contrario, la giunzione pielo-ureterale è compressa dall’esterno: quasi sempre si tratta di vasi sanguigni, generalmente anomali, che “scavalcano” e “strozzano” l’uretere, riducendone il lume. In casi più rari, solitamente nell’adulto, la compressione è provocata dalla sostituzione di tessuto fisiologico a livello del giunto con materiale fibrotico, a causa di ripetute infezioni renali, di interventi endoscopici o esterni alla via escretrice, o di altre condizioni patologiche.

 

CLINICA

L’anomalia del giunto pielo-ureterale è una patologia spesso subdola, che evolve per diverso tempo in modo silente, sino ad esordire con sintomi quando si riscontrano già gradi estremi di dilatazione pielo-caliceale.

Quando presente, la sintomatologia dolorosa è dovuta alla dilatazione della capsula renale, manifestandosi sotto forma di vere e proprie coliche renali, di dolore addominale diffuso, o sensazioni di tipo gravativo a livello lombare e sul fianco.

La presenza di urine stagnanti aumenta, inoltre, la suscettibilità alle infezioni delle vie urinarie, per cui la sintomatologia può esordire con episodi di bruciore minzionale, febbre elevata o persino eventi urosettici.

In quei pazienti con anomalia del giunto pielo-ureterale di lunga data, mai diagnosticata prima, l’esordio può avvenire con segni e sintomi propri dell’insufficienza renale (nausea cronica, associata a vomito, ed eventualmente ipertensione arteriosa). Nel neonato/bambino si può invece presentare con scarso appetito e ritardo della crescita.

 

DIAGNOSI

In quanto patologia spesso asintomatica, la diagnosi di anomalia del giunto pielo-ureterale è molto spesso incidentale, avvenendo per riscontro ecografico di una dilatazione della via escretrice (pelvi e calici renali) in corso di accertamenti per altre patologie o controllo di altri organi o apparati.

Fortunatamente, l’introduzione dell’ecografia nei protocolli di valutazione prenatale permette oggi, nel caso di patologia congenita, di diagnosticare precocemente un’eventuale anomalia del giunto pieloureterale.

Dopo aver riscontrato, nel paziente adulto, una dilatazione del bacinetto renale, si procede con ulteriori accertamenti volti a valutare l’entità del problema. Qualora la funzionalità renale del paziente non sia seriamente compromessa, si procede all’esecuzione di una TAC con pose urografiche (esame che ha ormai sostituito l’urografia endovenosa) per valutare accuratamente la morfologia delle vie urinarie ed escludere altre possibili cause benigne o maligne. È inoltre fondamentale eseguire una scintigrafia renale sequenziale, che permette uno studio computerizzato della funzionalità renale, stimando, per ognuno dei due reni, il contributo percentuale alla funzione renale globale, fornendo anche una valutazione dell’entità dell’ostruzione al deflusso dell’urina.

 

TRATTAMENTO

Le indicazioni a procedere ad intervento chirurgico di correzione di tale anomalia comprendono la presenza di sintomi associati all’ostruzione (inclusi il dolore cronico, refrattario al trattamento con farmaci antidolorifici, e le infezioni delle vie urinarie recidivanti, refrattarie anch’esse alla terapia con i comuni antibiotici per lo sviluppo di resistenze da parte dei batteri), la riduzione della funzionalità renale e/o la presenza di ipertensione arteriosa correlabile all’anomalia. L’obiettivo principale dell’intervento è la risoluzione dell’ostruzione, finalizzata alla preservazione o addirittura ad un incremento della funzionalità renale, oltre al miglioramento della sintomatologia.

Il trattamento dell’anomalia del giunto pielo-ureterale è di tipo chirurgico o interventistico, ed è volto ad “allargare” il punto di restringimento, per consentire nuovamente alle urine di defluire più agevolmente. 

Le metodiche interventistiche possono essere realizzate in vari modi da radiologi interventisti o endourologi, ricorrendo solitamente a dilatazioni progressive o incisioni endoscopiche a livello della stenosi. Tali interventi, seppur considerati mininvasivi, sono risolutivi solo in una minoranza di casi e presentano un elevato rischio di recidiva della problematica.

L’intervento chirurgico (la cosiddetta “pieloplastica”) è, pertanto, ritenuto l’alternativa più appropriata per la maggior parte dei pazienti. L’approccio chirurgico tradizionale “a cielo aperto” è oggi pressoché abbandonato, in favore delle tecniche mininvasive, nello specifico la laparoscopia tradizionale o robot-assistita. Brevemente, la pieloplastica consiste nella identificazione del giunto pielo-ureterale, nella sua dissezione, quindi nella sua sezione ed asportazione. Il tratto di giunzione stretto viene pertanto rimosso. Il chirurgo procede in seguito a suturare la porzione di “tubo” a monte (cioè la pelvi renale) e quella a valle (l’uretere), ripristinando la normale conduzione dell’urina all’interno di un ampio passaggio. Nel caso in cui sia presente un vaso anomalo che comprime il giunto pielo-ureterale, si procede con la sezione dell’uretere e la sua successiva ricostruzione, dopo aver posizionato il vaso dietro alla pelvi. Al termine dell’intervento viene inserito un catetere ureterale (detto stent “a doppio J”) per proteggere la via escretrice. L’utilizzo dello stent, oltre ad accelerare i processi di guarigione, riduce l’incidenza di stravasi urinari nel punto di riparazione chirurgica e della fibrosi (cicatrizzazione esuberante) secondaria. Generalmente lo stent viene poi rimosso in regime ambulatoriale dopo circa 4 settimane.

La pieloplastica è risolutiva in più del 95% dei casi, senza che sia necessario ricorrere ad alcun trattamento aggiuntivo. L’intervento viene sempre eseguito in anestesia generale.

L’approccio laparoscopico, oggi sempre più diffuso, riproduce fedelmente gli stessi passaggi dell’intervento eseguito a cielo aperto, con medesimi risultati, ma con il vantaggio di una riduzione dell’invasività dell’intervento chirurgico. Inoltre, la diffusione della tecnologia robotica consente gesti chirurgici ancora più precisi grazie ai micro-movimenti degli strumenti e alla visione tridimensionale, creando ulteriori vantaggi sia per il chirurgo che per il paziente.

Va segnalato che, nella esigua percentuale di pazienti che hanno una recidiva o una non risoluzione del problema, le probabilità di riuscire a completare un secondo intervento di pieloplastica con approccio mininvasivo si riducono, specialmente qualora si adotti un approccio laparoscopico puro, a causa di processi aderenziali legati a patologia infiammatoria o al pregresso intervento chirurgico.